In spiaggia!

In spiaggia!

Il sole per amico

Quant’è lungo un suo raggio? Da dove arriva? Perché fa bene e perché può far male?

Si fa presto a dire “cambi di stagione”, quando le stagioni si comportano come nei tempi che stiamo vivendo, e marzo somiglia a giugno, ma aprile somiglia poi a febbraio… Così abbiamo deciso di dedicare questo appuntamento con il calendario – cioè il numero di Les Parisiennes dedicato a primavera e soprattutto estate – a una presenza che comunque non cambia: la luce dopo il grigiore invernale, le giornate che si allungano, insomma il sole. Dunque finalmente in spiaggia, sdraiata sul lettino, occhiali avvolgenti, crema sulla pelle, telefonino in modalità DND, do-not-disturb… ebbene, avresti mai detto che i raggi che ti stanno piacevolmente riscaldando sono partiti dal sole 8 minuti e 20 secondi fa, e hanno viaggiato nello spazio per centocinquanta milioni di chilometri prima di terminare il proprio percorso proprio sulla tua pelle? A dire il vero più che di raggi bisognerebbe parlare di “fotoni”, cioè le particelle portatrici di energia che compongono la luce solare, ma le cose non cambiano: i fotoni nascono da una reazione nucleare all’interno del sole, viaggiano nel cosmo, attraversano l’atmosfera e arrivano fino alla nostra epidermide… dove praticamente cessano di esistere, vengono come assorbiti e l’energia che trasportavano cambia forma e, per esempio, diventa calore. E poi ci si abbronza, naturalmente… Ma che cosa succede al corpo, quando la luce solare ci raggiunge? Dipende, dal momento che i suoi vari effetti sono legati a quella che gli scienziati chiamano “lunghezza d’onda”. Più semplicemente, ricordiamo come – oltre alla luce visibile – in un raggio di sole si trovano anche i raggi infrarossi e gli ultravioletti. Nessuno di questi è visibile, ma lo sono i loro effetti. Gli infrarossi producono essenzialmente calore. Gli ultravioletti sono più ricchi di energia e producono effetti molto significativi. Per esempio l’abbronzatura (e le relative scottature) o anche lo stimolo alla produzione della vitamina D. In questo caso gli ultravioletti trasformano una parte del colesterolo della nostra pelle in “precursore” della vitamina D, che poi altri organi (fegato e reni) provvedono a modificare per arrivare alla forma attiva di questo vero e proprio ormone. Insomma: per chi ha uno stile di vita sedentario e con scarsa attività fisica all’aperto (cioè la maggior parte di noi) è difficile “rifornirsi” di vitamina D senza mettersi al sole, in spiaggia.

Tintarella no problem

  1. Gradualità.
    Abbronzarsi un po’ alla volta. I primi giorni sono quelli a più alto rischio, perché la pelle è impreparata.
  2. Effetto specchio.
    Lo producono l’acqua, la sabbia e la neve in montagna. La sabbia, anche sotto l’ombrellone, riflette più del 25% della luce solare.
  3. Ombrellone.
    Da solo non basta. Più del 50% dei raggi ultravioletti viene assorbito anche sotto l’ombrellone. Specie se vicino all’acqua.
  4. A mollo.
    Anche facendo il bagno ci si abbronza. Al contrario di quello che si pensa, i raggi UVA penetrano nell’acqua in una percentuale che supera il 95%.
  5. Montagna.
    L’intensità delle radiazioni aumenta del 12% ogni mille metri di altezza: è quindi più pericolosa l’esposizione in montagna rispetto al mare.
  6. Occhi.
    Utilizzare sempre occhiali da sole (meglio avvolgenti) e lenti scure (quelle colorate o sfumate proteggono di meno).
  7. Mezzogiorno.
    Attenzione: è fra le 11:00 e le 15:00 che il 50% dei raggi ultravioletti raggiunge la Terra.
  8. Sensibilità.
    Palpebre, naso e labbra sono più suscettibili alle scottature, rispetto a braccia e gambe. Attenzione anche ai piedi, che in genere si trascura di proteggere. Quanto ai bambini vanno ben protetti, se sotto i tre anni. Entro i primi sei mesi di vita, poi, non dovrebbero mai essere esposti al sole, poiché i sistemi di difesa cutanei sono ancora imperfetti.

Ed ecco la novità:

La tecnica del dewy blush sandwich è la migliore scoperta beauty dopo il glow

ll dewy blush sandwich non sarà proprio parente dell’umile sandwich, che è stata la migliore invenzione dopo il pane a fette, ma è la sua versione deliziosa nel mondo beauty. Il dewy blush sandwich è una tecnica di trucco che offre un’applicazione del blush illuminata dall’interno: quella di stendere il fondotinta, la prima fetta del sandwich, poi il blush in crema, “l’affettato”, ma è sufficiente anche un rossetto cremoso dal rosso al corallo al rosa fucsia, in base alla propria stagione armocromatica, sfumando il tutto con la spugnetta del fondotinta, l’ultima fetta del sandwich.

Riassumendo: fondotinta + blush + fondotinta.

Le formule che consiglio sono quelle liquide o semiliquide, o al massimo il fondo compatto. Pertanto consiglio il fondotinta Flawless, Skin Illusion, oppure il Cream Compact Foundation: sono sicuramente le più indicate per raggiungere un finish luminoso e glassy, adatto anche alle donne agée, creando l’effetto lifting e “bonne minne”. Se non si amano le texture cremose possiamo sempre utilizzare le polveri minerali come il fondotinta wet and dry, applicando successivamente un blush in polvere dalle tinte corallo, pesca o rosato, e col pennello sfumando ancora col fondotinta wet and dry. Infine le bold brows, ovvero sopracciglia molto definite e pettinate con il gel per sopracciglia, non disordinato ma direzionate verso l’alto. Quanto ai colori, ecco la rivincita di quelli pastello: dimentichiamoci i toni neutri e le classiche sfumature, il make up occhi punta su tonalità come l’azzurro cielo, rosa baby, verde menta, applicati non solo come ombretti, ma anche come eyeliner e mascara. Queste shades conferiscono un touch di freschezza e originalità al vostro look, adatto soprattutto a chi vuole essere originale, mai banale, pur senza esagerare.

Labbra super idratate con il lip balm trasparente, ma ad effetto juicy rimpolpante, oppure via libera ai lip gloss… o My gold, o Pink fever, o Dolce diva red Gil Cagné. Di grande tendenza è applicarlo anche sulle palpebre per un effetto sun kissed, che cattura la luce e la riflette celebrando la bellezza naturale.